Che succede ai giovani?

L'editoriale

Livorno, 22 ottobre 2017 - E’ la cronaca battente di questi giorni a imporre ancora una volta una riflessione seria e profonda sui nostri giovani, i loro comportamenti e i drammi. Riflessione che deve ripartire dalla percezione sempre più diffusa, in una società complicata e difficile, del loro disprezzo per la vita, concetto che ho già avuto modo di evidenziare non molto tempo fa. Non c’è stato giorno che non si sia dovuto raccontare di una tragedia che ha avuto i giovani o i ragazzini come protagonisti. Autori di un fattaccio o di un incidente mortale oppure vittime. Vite troncate da Prato a Livorno, da Firenze a Empoli. Di incidenti ne sono sempre accaduti e purtroppo accadono. Ma quando si assiste ad una successione così impressionante viene da chiedersi: che cosa sta succedendo ai nostri giovani? Soprattutto quando queste tragedie avvengono proprio nel momento di spensieratezza e di divertimento, accanto magari a devianze di diversa matrice come l’aggressione di una ragazza nel parco dopo la discoteca.

E’ troppo semplicistico attribuire all’alterazione da alcool o da droga questi comportamenti violenti o i comportamenti irresponsabili nella guida delle auto. Certo ci sono differenze tra la notte choc della ragazza massacrata nel parco a Montelupo e quella del ragazzo ubriaco al volante che ha provocato la morte di un’amica all’alba a Collesalvetti. Il pensiero va, comunque, al brusco risveglio di famiglie scaraventate dentro un incubo all’improvviso e chiamate a domandarsi perché, in che cosa si è sbagliato nel rapporto con i figli, al di là di un destino crudele.

Ma a chiederci che cosa sta succedendo ai nostri ragazzi, ai nostri giovani, ai nostri figli dobbiamo essere tutti perché c’è qualcosa di grave che sta emergendo nelle relazioni e nelle considerazioni sulla vita di tutti i giorni nelle famiglie, nella scuola, nei posti di lavoro e dunque nella società. I segnali, gli episodi allarmanti chiamano in causa tutti. Sì, perché il rischio è quello della sottovalutazione, dell’assuefazione e della rassegnazione. Ebbene, questo non è vero perché proprio queste tragedie ci affidano una lezione durissima sull’antico detto, sempre più valido in un mondo che si declina più nella liquidità dei valori e dei rapporti umani, e cioè che – guardando bene in faccia la realtà tutta da vivere, da vivere non da morire – siamo noi gli artefici della nostra fortuna e quindi anche della nostra sfortuna.