Livorno, l'anima lacerata di una città nata tollerante

Il commento dopo l'attentato incendiario contro un negozio cinese

La scena dell'attentato (Foto Novi)

La scena dell'attentato (Foto Novi)

Livorno, 8 agosto 2020 - Fa davvero uno strano effetto trovarsi a commentare episodi di violenza a Livorno. Anzi, più che strano è proprio brutto, preoccupante. Si dirà: che cosa avrà mai Livorno, rispetto a qualunque altra città del mondo, per meritarsi di sottrarsi al ferro e al fuoco?

Che sarà mai? Come Gerusalemme per il Saladino: «Quanto vale questa città? Niente. Tutto». La Livorno moderna nacque nella seconda metà del ’500 per volere del granduca Ferdinando I de’ Medici: accolse «gente di qualsivoglia nazione» per diventare uno dei porti principali del Mediterraneo, aperto e non stretto in un golfo.

Da qui l’accoglienza, lo spirito libero e tollerante, la mescolanza (“cacciucco” deriva dal turco “caciuk”, miscuglio) di razze e fedi religiose, tutte a strettissimo contatto fra loro e nessuna rinchiusa in un ghetto. Oggi assistiamo a qualcosa che sta lacerando ciò che resta di quest’anima dai mille volti e dai mille cuori. La presenza di gruppi etnici differenti sfocia in una sofferta convivenza con il territorio.

La società che brucia tutto in fretta e che tutto esaspera ci dice che la guardia non è mai abbastanza alta, che l’egoismo è forte e che il prefisso “multi” non è un concetto di facile assimilazione. Anche se certi episodi sono spesso frutto dell’azione di un singolo “cane sciolto”, si tratta di un pessimo segnale. E Livorno non fa la differenza.