Amerigo Vespucci, parla il comandante: "Un giorno sarà una donna a dirigere la nave"

L'intervista al capitano di vascello Roberto Recchia

La Vespucci e, nel riquadro, il comandante Recchia

La Vespucci e, nel riquadro, il comandante Recchia

La Spezia, 23 settembre 2018 - «Non chi comincia ma quel che persevera». È il motto dell’Amerigo Vespucci, leggendaria nave scuola della Marina militare italiana con base alla Spezia che dal suo varo, nel 1931, ha addestrato generazioni di futuri ufficiali navigando i mari di tutto il mondo. E la perseveranza non manca a questo veliero longevo e spettacolare, definito «la nave più bella del mondo», e al suo equipaggio, formato da più di 200 professionisti ai quali, durante le campagne d’istruzione, si aggiungono oltre cento allievi del primo anno dell’Accademia navale di Livorno.

Al comando, dal 2017, il capitano di vascello Roberto Recchia che in questi giorni sta portando a termine la campagna addestrativa 2018: il rientro a Livorno ieri. «Più di 8mila miglia in 82 giorni – racconta –, una campagna che resterà nella storia: per la prima volta nei suoi 87 anni Nave Vespucci ha solcato i mari del Nord, approdando a Reykjavík, e poi raggiungendo il tetto del mondo a nord dell’Islanda e oltrepassando il limite del circolo polare artico».

Comandante Recchia, cosa significa assumere il comando di Nave Vespucci? «Nel ’88 ho terminato la prima classe dell’accademia navale e sono imbarcato su Vespucci da allievo: il comandante mi sembrava una figura irraggiungibile. Ricorderò sempre quando ho messo piede di nuovo sul barcarizzo per assumere l’incarico di comandante, un’emozione indescrivibile». 

Da dove il motto «Non chi comincia ma quel che persevera»?

«La frase è attribuita a Leonardo Da Vinci. Si dice che sia nato in risposta al motto «chi ben comincia è a metà dell’opera» per sottolineare che non è importante cominciare un’esperienza, ma è di fondamentale importanza perseverare e portare a termine i propri obiettivi. È così anche per gli allievi: sono all’inizio della carriera, hanno superato il primo anno di accademia ma la strada è lunga. Quel motto dà la giusta motivazione a lottare».

Il Vespucci è altra cosa rispetto alle navi sulle quali i militari si trovano poi a operare. Perché la scelta di formazione a bordo di un veliero?

«La tradizione e la cultura marinaresca che ogni cadetto interiorizza nell’addestratamento diventa un bagaglio di esperienza. È l’antica arte dell’andar per mare. Come si è fatto sin dal 1931, si determina la posizione della nave osservando il sole e le stelle col sestante o attraverso i rilevamenti ottici di punti cospicui sulla costa. Il continuo confronto fra tradizione e innovazione consente ai futuri ufficiali di acquisire consapevolezza e sicurezza».

Altre Marine nazionali hanno percorsi formativi analoghi, su velieri?

«Altre Marine militari hanno come concetto di base nella formazione l’acquisizione dell’arte dell’andar per mare attraverso l’imbarco dei cadetti su navi a vela. Un esempio è la nave scuola della Marina spagnola Juan Sebastian de Elcano. Un’altra nave scuola è la Libertad, della Marina Militare Argentina, costruita nel 1963. Su tutte le navi scuola il periodo a bordo dagli allievi non è riposante, ma lascia un ricordo positivo e un’emozione forte».

Quale è una giornata tipo a bordo?

«Per gli allievi ciascuno a turno effettua un servizio di guardia che prevede lo svolgimento e l’apprendimento di un’attività relativa al Corpo di appartenenza, come assistere il personale della plancia o coadiuvare i tecnici della sala macchine. Negli altri periodi si svolgono lezioni di navigazione e astronomia oltre a briefing di carattere professionale e storico-culturale».

Come si governano in mare 34 chilometri di cime e 2.700 metri quadrati di vele?

«La navigazione a vela deve essere svolta con molta attenzione: per gestire vele, cime, alberi e pennoni ci vuole pazienza, esperienza e personale nocchiere estremamente preparato nell’arte marinaresca. Occorre studiare le cartine meteo, le evoluzioni delle perturbazioni e dirigere la nave dove le condizioni di mare e vento sono più favorevoli».

A bordo, da quando la carriera è aperta alle donne, convivono in spazi limitati ragazzi e ragazze. Questo è un problema?

«Le donne hanno fatto il loro ingresso nella forza armata nel 2000: c’è stato un periodo di assestamento per rendere gli spazi logistici a bordo idonei. Ma questo non ha mai rappresentato un limite: il personale femminile svolge gli stessi incarichi dei colleghi maschi con le medesime responsabilità. Le donne a bordo possono svolgere l’incarico di nocchiere che sale a riva per aprire e chiudere le vele, di motorista che cambia l’iniettore di un cilindro, di direttore di macchina. Non ho avuto difficoltà di gestione dell’equipaggio misto: una risorsa per la possibilità di valorizzare potenzialità, sensibilità e peculiarità di ciascun membro e un momento di crescita professionale e caratteriale».

Ci sarà una donna al comando del Vespucci?

«Da qualche anno abbiamo avuto donne che hanno assunto il comando di unità navali minori. È solo questione di tempo e avremo anche una donna al comando di Nave Vespucci».

I giovani crescono in una società dove velocità e tecnologia dominano. Si ha la sensazione che su una nave a vela il tempo scorra con altri ritmi. Quale è il principale insegnamento che questa esperienza lascia? 

«La campagna di istruzione viene vissuta dagli allievi come un’avventura. Rappresenta per i più la prima vera esperienza di navigazione, un battesimo del mare. Il distacco che questo tipo di esperienza determina rispetto alla vita di tutti i giorni, immersa e condizionata dal massivo utilizzo dei social, è l’aspetto caratterizzante della formazione a bordo. I ritmi serrati, il coinvolgimento totale e continuativo nelle attività permette ai futuri ufficiali di vivere in modo pregnante questa esperienza unica. Ovviamente a bordo c’è anche tanta tecnologia nei sistemi di navigazione o nei moderni impianti che i giovani ufficiali ritroveranno a bordo delle unità della squadra navale. L’esperienza a bordo trasmette un insegnamento legato alle esperienze umane che si vivono».

Che cosa rende il Vespucci icona dell’Italia a livello mondiale, a tal punto da essere definita «La nave più bella del mondo»? 

«L’episodio risale a un incontro avvenuto nel Mediterraneo nel 1962. Protagonista la portaerei Statunitense Uss Independence che, incrociando un magnifico vascello a vela lungo la propria rotta, chiese con il codice Morse a lampi di luce: ‘Chi siete?’. Il vascello rispose: ‘Nave scuola Amerigo Vespucci della Marina militare italiana’. Il comandante della portaerei ordinò di rispondere: ‘Siete la più bella nave del mondo’».