Le donne che hanno scelto la divisa blu "Gentilezza contro dolore e violenza"

Elisabetta entrata in Polizia dopo la morte del fratello e Sabrina da venti anni nella Mobile per occuparsi dei maltrattamenti

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rdi Michela Berti

Livorno

Si apre il portone della Questura e il sorriso di Elisabetta Rossi (a destra nella foto) è il biglietto di quella ’divisa blu’ che vuole il questore Roberto Massucci: Polizia gentile. E lei, Elisabetta, di gentilezza ne ha da vendere, lineamenti da modella e una storia importante alle spalle. "Nella mia famiglia la divisa c’è da sempre - racconta - mio padre è stato incursore per Col Moschin, mia madre volontaria in Croce Rossa. Mio fratello, più grande di me di tre anni, era in Polizia e io invece vevo scelto tutt’altra strada. Ho studiato lingue, lavoravo a New York, Inghilterra poi Modena come corrispondente commerciale". Gabriele, il fratello di Elisabetta, una sera in servizio ad un posto di blocco, durante un inseguimento ha perso la vita. "E’ stato un duro colpo – racconta Elisabetta – per diverso tempo era un dolore che non riuscivo a gestire. Cercavo di conviverci, mi sono anche fatta un tatuaggio ma non è servito a molto". Poi la proposta di entrare in Polizia, come tecnico: "Feci il concorso ma venni scartata per quel tatuaggio, l’ho tolto con il laser, ho fatto di nuovo il concorso e sono entrata. Mio fratello faceva scorte, era molto attivo. Lui ci credeva tanto nel suo lavoro e avrebbe fatto la differenza. Un poliziotto buono e gentile, quelli che servono". Ed è proprio questo il messaggio che Elisabetta dà ogni giorno: "Quando ho indossato la divisa il dolore è mutato perchè sono entrata a far parte della famiglia di mio fratello. Farò in modo che il suo sacrificio non venga dimenticato. Ogni volta che arrivo a Roma vado al Sacrario, e sono lacrime. Dietro a ogni nome c’è una storia come quella di mio fratello".

Anche Sabrina Vivaldi vice della Squadra Mobile è ogni giorno a contatto con storie, di quelle che lasciano il segno. Da venti anni si occupa di violenza e maltrattamenti. "La prima denuncia alla quale ho lavorato – racconta – era per una violenza sessuale su minore commessa da un parente. Si è presentata questa ragazzina di 14 anni e mi ha detto: ’Voglio denunciare perchè so che quest’uomo che viene in vacanza ha un tumore, e prima che muoia voglio denunciarlo’. Aveva 6 anni quando la violenza su di lei era iniziata. Le prime volte porti a casa tutto questo dolore, poi inizi a vedere i reati in maniera asettica, non li puoi dimenticare ma riesci ad elaborarli. La Mobile è una bella sezione: sette persone di cui due donne e lavoriamo molto sui codici rossi, nel 98% dei casi la vittima è una donna".

Donne, sofferenze e tanta voglia di mettersi in gioco. Ecco chi c’è dietro a quelle divise, a quei volti - a volte duri, altre sorridenti - che cercano di trasformare il dolore in un messaggio di speranza. "L’ultimo caso che ho trattato – racconta Sabrina – è quello di una signora maltrattata per venti anni dal marito. E’ finita in ospedale con la milza rotta, da qui è emersa la verità: due decenni di violenze dietro le mura domestiche".