Freddato in strada a Livorno, gli arresti 19 anni dopo: l'ombra di mafia e estrema destra

Omicidio Chimenti, il caso di "Cacciavite", gestore di un circolo. Fu ucciso sotto casa con cinque colpi di pistola

Un colpo di pistola finito nel muro dove fu ucciso Chimenti (Foto Novi)

Un colpo di pistola finito nel muro dove fu ucciso Chimenti (Foto Novi)

Livorno, 13 settembre 2021 - Diciannove anni dopo, ci sono degli arresti per l'omicidio di Alfredo Chimenti, detto Cacciavite, ucciso a Livorno la sera del 30 giugno 2002: tre persone che avrebbero partecipato a vario titolo all'agguato. Un cold case che sembra dunque risolto, dopo le lunghe indagini della Guardia di Finanza che si intrecciano con un giro di criminalità attivo nella città di Livorno.

L'omicidio, cosa accadde

Chimenti fu freddato con cinque colpi di pistola in piazza Mazzini, vicino al mare. Stava rientrando a casa. Una vera esecuzione che lasciò la Toscana e Livorno sotto choc. Cacciavite faceva parte di un circolo, "La Garuffa". Sarebbe stato ucciso perché l'attività pestava i piedi a un altro circolo, lo "Sporting Club", che secondo le accuse della Guardia di Finanza usufruiva della "protezione" della cosiddetta "batteria": un potente e temibile gruppo criminale ritenuto in rapporti con esponenti del terrorismo di estrema destra, appartenenti a sodalizi di stampo mafioso e ad altri soggetti criminali di varia estrazione.

I titoli de La Nazione di allora

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Gli arrestati

Tra gli arrestati a Livorno per l'omicidio di Alfredo Chimenti, avvenuto 19 anni fa in uno scenario di bische, gioco d'azzardo e usura per chi faticava a onorare i debiti di gioco, ci sono tre livornesi Riccardo Del Vivo, 72 anni (ai domiciliari), Massimo Antonini, 64 anni e Gionata Lonzi, 51 anni, che sono stati invece arrestati e trasferiti in carcere. Per l'accusa avrebbero agito in concorso nell'omicidio. Il 30 giugno 2002, come si evidenzia nella ricostruzione degli investigatori, fu Del Vivo che, arrivato sotto casa di Chimenti a bordo di uno scooter condotto da Antonini, aspettò il rientro della vittima per sparargli contro 5-6 colpi di pistola calibro 38, arma procurata da Lonzi, e quindi ucciderlo. I due poi si allontanarono a bordo dello stesso scooter. In carcere, nella stessa inchiesta, anche Andrea Polinti, 54 anni di Livorno e Olsi Beshiri, albanese di 42 anni residente nella provincia di Pisa. Ai domiciliari, con braccialetto elettronico, Bruna Martini di 68 anni, Valter Giglioli di 71 anni, Stefano Bendinelli di 57 anni, Romualdo Monti di 56 anni, tutti livornesi, e Manuela Scroppo, 42 anni, della provincia di Pisa. Indagata anche una persona livornese di 83 anni.

Le accuse

Omicidio premeditato, associazione per delinquere, usura aggravata, estorsione aggravata e porto abusivo di armi da sparo. Sono queste le ipotesi di reato che hanno portato all'arresto di 11 persone su disposizione del Gip di Livorno a conclusione delle indagini.

Perché fu "tolto di mezzo"

La vittima dell'agguato, come si legge nell'ordinanza del Gip, era diventato un soggetto non gradito alla «batteria» per i suoi comportamenti «prepotenti ed ostativi» nei confronti del gruppo criminale, come ad esempio il no all'assunzione al circolo La Garuffa di una persona vicina alla stessa «batteria». Non solo, secondo le risultanze investigative, con i suoi comportamenti dimostrava di non aver timore dei rivali finendo per eroderne il prestigio criminale. Da qui la decisione di «levarlo di mezzo».

Gli sviluppi: scoperto giro di usura

Le indagini sulla morte di Chimenti si intrecciano con quelle di un giro di usura scoperto a Livorno. Gli occhi degli investigatori si sono posati sugli ambienti delinquenziali livornesi, che la Procura di Livorno ha riattivato proseguendo l'attività della Direzione distrettuale antimafia di Firenze e condotte dai carabinieri con il contributo del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Pisa, hanno fatto scoprire una associazione a delinquere. 

Come gli usurai riscuotevano i soldi

Originali le modalità con le quali si sarebbe concretizzata l'usura. Il 'contratto' prevedeva che le vittime acquistassero dall'usuraio monili in oro ad un prezzo notevolmente più alto dell'effettivo valore (circa il doppio ed a volte anche il triplo), rivendendoli al loro prezzo corrente a compro-oro compiacenti. Le vittime, in tal modo, ottenevano dagli stessi compro-oro l'immediata liquidità di cui avevano bisogno, ma rimanevano debitori nei confronti dell'usuraio di una cifra pari a quasi il doppio di quella ricevuta. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, le vittime maturavano anche interessi passivi da corrispondere unitamente alla quota-capitale, allo stato quantificati in 150 euro a settimana.

Le scadenze degli strozzini

Le scadenze imposte dagli strozzini erano settimanali, quindicinali o mensili, indicate in gergo dagli indagati come 'settimane' e 'mesate'. Paradigmatico il 'contratto' con una delle vittime, che - per far fronte ad impellenti bisogni di liquidità - in poco tempo avrebbe maturato complessivamente un debito di circa 48 mila euro. La vittima avrebbe corrisposto 1.000 euro al mese, in due tranche pagate ogni 15 giorni, e 150 euro a settimana a titolo di interessi, per un totale di 1.600 euro mensili.