Serve chiarezza sul progetto rigassificatore

Luca

Filippi

È dai tempi della crisi del petrolio dell’autunno del 1973, che l’Italia avrebbe dovuto sviluppare una politica energetica alternativa alle fonti fossili. Abbiamo avuto ‘solo’ 49 anni di tempo per prepararci. E non siamo ancora pronti. Ora una guerra, come accade spesso nella storia, sta accelerando i tempi del cambiamento, che del resto era già necessario per problemi di inquinamento e l’emergenza climatica. La via maestra è quindi quella della riduzione dei consumi con più efficienza, delle fonti rinnovabili, fotovoltaico ed eolico, che però necessitano di un po’ di tempo. Siccome nessuno è disposto a vivere senza riscaldamento o elettricità e tutte le attività si fermerebbero, nell’immediato abbiamo bisogno di gas. Il ministro Cingolani sostiene che in base ai rapporti dei tecnici solo due luoghi in Italia possono ospitare in tempi brevi impianti di rigassificazione: Piombino e Ravenna, che insieme porteranno 10 miliardi di metri cubi annuali mancanti.

A Piombino però c’è timore che la nave rigassificatrice blocchi le attività del porto, costituisca un pericolo per la città e più in generale danneggi turismo e agroittica. Lo slogan è ’Piombino ha già dato’ ed è riferito al fatto che per anni la città ha subito l’inquinamento delle Acciaierie e della centrale termoelettrica Enel di Tor del Sale. In città sono previste manifestazioni in questa settimana e le perplessità più marcate nelle forze di centrodestra, sono espresse anche da quelle di centrosinistra. Draghi ha nominato il presidente della Regione Giani commissario per realizzare il rigassificatore in base a una emergenza nazionale. Magari a questo punto non sarebbe male spiegare il progetto ai cittadini nei dettagli, chiarire i dubbi su rischi e impatto ambientale e anche le conseguenze della mancata realizzazione, come, ad esempio, il razionamento di gas ed elettricità.