Sindaco di Livorno

In tanti alla proiezione del documentario Rai su quella tragica notte. Per la prima volta parla l’armatore Onorato

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di Monica Dolciotti

Emozione, rabbia, desiderio della verità, anche quella nelle aule dei tribunali (negata secondo le parti civili), sono stati gli elementi dominanti all’anteprima del docufilm i ’Il mistero Moby Prince’, prodotto da Stand by me per Rai Documenti. Andrà in onda su Rai 2 domani alle 21,20. L’anteprima è stata ospitata a Livorno all’interno degli Angar Creativi alla presenza del sindaco Luca Salvetti, di una folta delegazione di familiari delle vittime del Moby Prince, di Luchino Chessa della Associazione 10 aprile e di Sergio Romboni dell’Associazione 140.

C’erano anche tra gli altri l’ex presidente e l’ex vice presidente della seconda commissione parlamentare di inchiesta sul Moby Prince Andrea Romano (Pd) e Manfredi Potenti (Lega) che si è impegnato a portare avanti i lavori della commissione. A questa commissione si deve il merito di avere messo a fuoco che quella tragica sera del 10 aprile 1991 una terza nave interferì sulla rotta del Moby Prince che andò a impattare contro la fiancata della petroliera Agip Abruzzo. Il documentario che ricostruisce una parte della verità sulla collisione tra la petroliera Agip Abruzzo e il traghetto Navarma Moby Prince, che provocò la morte di 140 delle 141 persone a bordo del Moby (tra passeggeri e equipaggio incluso il comandante Ugo Chessa e la moglie), è stato dedicato ad Angelo Chessa, scomparso di recente, fratello di Luchino Chessa (attuale presidente dell’associazione 10 Aprile).

Nel film per la prima volta parla anche l’armatore Vincenzo Onorato che, a proposito delle vocisulla nebbia quella notte, dichiara: "Sul radar del Moby, la petroliera sarebbe apparsa non come un puntino ma grande come un ferro da stiro. Il comandante Chessa era abituato a navigare nel canale della Manica. Se ci fosse stata nebbia sarebbe stata ininfluente per la qualità del comandante Chessa che era abituato a navigare nella Manica con un traffico incrociato pazzesco". Sulla tesi dell’ordigno a bordo del Moby ha obiettato: "Se si voleva fare una strage sarebbe stata messa una bomba in un salone".

Parole di fuoco le ha pronunciate l’avvocato Marco Giunti, amico di Angelo Chessa, che partecipò con lui alle indagini private da loro condotte prima e durante il processso sul caso Moby Prince. "Quando fu pronunciata la sentenza al primo processo con la quale non ci furono colpevoli, arrivarono i carabinieri che fecero un cordone a difesa dei giudici. Un gesto di irriverenza nei confronti dei familiari delle vittime del Moby".

Angelo Chessa nel documentario (nella sua ultima intervista prima di morire) ha sottolinesato che "solo grazie al nostro lavoro di analisi a studio sui filmati realizzati dall’elicottero dei carabinieri sorvolando il Moby Prince, a distanza di tempo siamo riusciti a evidenziare l’immagine del passeggero sul ponte del Moby, quando ormai era giorno, ancora intatto. Alcuni minuti dopo, a causa delle temperature ancora elevatissime a bordo del traghetto, quel corpo ha preso fuoco carbonizzandosi. È stata la prova che a bordo del Moby le persone non erano morte dopo mezz’ora tra le fiamme divampate in seguito alla collisione con la pretoliera Agip Abruzzo, come sostenuto da tutti all’epoca della tragedia".