"Covid, ecco come ne sono uscita"

Livorno, la testimonianza dell’assessore all’urbanistica Viviani: "Ho avuto paura"

L’assessore Silvia Viviani

L’assessore Silvia Viviani

Livorno, 18 dicembre 2021 - Silvia Viviani, fiorentina, assessore ai lavori pubblici, urbanistica e ed edilizia privata del Comune, la scorsa primavera mentre era in attesa di vaccinarsi contro il Covid, ha vissuto sulla sua pelle la terribile esperienza del contagio e della malattia, dell’isolamento e il ricovero in ospedale. Faticosamente vissuto la convalescenza post-covid con tanti sintomi. Ha accettato di raccontare la sua esperienza nella speranza che serva da monito a chi rifiuta di vaccinarsi.

Quando è iniziata la sua battaglia contro il coronavirus? "Dopo un tampone rapido successivo ad una notte passata con nausea, vomito, dolori e mal di testa forte. Pensavo fosse influenza, però avevo il sospetto che potesse essere qualcos’altro. Metà aprile 2021. Pur essendo già disponibile il vaccino, per la mia classe di età 1959 non era ancora stata aperta la finestra vaccinale".  

Dopodiché cosa è successo?

"Non dimenticherò mai quando la farmacista mi invitò a sedermi e mi disse che ero positiva. Provai una sensazione di sgomento. Ho avvissato tutte le persone con le quali ero entrata in contatto. Poi ho chiamato il medico di famiglia che mi ha detto di prenotare il tampone molecolare. Mi ha chiamata la Usl per confermarmi che ero positiva e che dovevo iniziare la quarantena. A quel punto ho richiamato il mio medico che mi ha detto di misurare la temperatura e il tasso di ossigenazione tutti i giorni".  

La situazione è peggiorata? "Dopo l’ultimo tampone nei primi tre giorni non ci sono stati cambiamenti. Poi è arrivata la febbre oltre 39. La saturazione era un po’ scesa, ma mai sotto il limite di 92. Non capivo bene cosa fare, ero spossata, ma credevo mi passasse. Ero convinta di tenere la situazione sotto controllo".  

Invece? "Ero indebolita e poiché vivo da sola mi sono preoccupata perché la febbre persisteva. Ho chiamato il medico di famiglia che allora ha attivato l’Usca. I medici Usca sono venuti a casa e mi hanno prescritto cortisone, aspirina e ossigeno h24 con tanto di bombola. Da sola ho attrezzato un ospedale da campo a casa, mentre mio fratello mi ha portato tutto il necessario. Sono rimasta giorno e notte attaccata alla bombola di ossigeno. Mi sono auto-monitorata febbre, pressione e saturazione. Ho annotata tutto su un quaderno. Sono andata avanti così per una settimana. Ogni due giorni veniva il personale Usca a visitarmi, faceva il prelievo arterioso e mi auscultava i polmoni dicendomi di proseguire con le terapie. All’ottavo giorno però i medici Usca mi hanno comunicato che dovevo andare in ospedale. È stato un duro colpo, credevo di essere migliorata. Invece non era così perché avevo sviluppato la polmonite interstiziale. Eppure non ho mai tossito".  

In ospedale? "Mi hanno riscontrato la polmonite interstiziale e una bassa saturazione dell’ossigeno. Era il 28 aprile e alle due del mattino del 29 aprile mi hanno trasferita in reparto covid. Il 3 maggio ero già negativa. Così il 4 maggio sono stata dimessa. In ospedale mi hanno somministrato ossigeno per via nasale, poi cortisone e eparina. Camminando per la stanza mi sembra di scalare l’Everest, questo nonostante saturassi bene".  

Come è stato il ritorno a casa?

"Il 4 maggio sono stata dimessa per la convalescenza. Fino a metà giugno sono rimasta a casa. È stato un mese di convalescenza intensa perché ero molto debole. La ripresa è stata faticosa". Ma c’è il post covid con cui fare i conti. "La fatica è ancora una costante. Anche oggi non posso dire di essere tornata completamente alla normalità. Ho sofferto di insonnia, la fatica mi ha accompagnata anche nelle cose più banali. Ho avuto disturbi gastrici, in forma sporadica infiammazione alle gengiva e ai denti. Ho iniziato a perdere i capelli. Solo da quindici giorni sembra che i capelli abbiano smesso di cadere. Un giorno mi sono procurata le forbici da parrucchiere e davanti allo specchio mi sono tagliata i capelli. Psicologicamente mi ha pesato molto. Nell’ultimo mese mi si è sviluppata anche una artrite reumatoide alle mani che sto trattando con infiltrazioni".  

Si è rivolta a un ambulatorio per pazienti post-covid? "No, nessuno mi ha informata. Di mia iniziativa e a mie spese sono andata dal dermatologo per i capelli e dall’ortopedico per le mani".  

Quale riflessione fa oggi? "Pur avendo vissuto una eccellente esperienza ospedaliera sul piano sanitario e umano a Firenze, resta però la necessità di rinforzare i servizi sanitari territoriali che in questo frangente sono basilari. E esprimo tutta la mia gratitudine al personale sanitario che mi ha assistita. Poi mi appello a chi ancora non si è vaccinato perché rompa ogni indugio e si immunizzi al più presto".  

Monica Dolciotti