Italo Piccini, una piazza e una storia

Livorno, ieri mattina la cerimonia per intitolare piazza del Pamiglione allo storico console dei Portuali

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Piazza del Pamiglione, tra il palazzo dei portuali e la darsena vecchia, da ieri ha due nomi: conserva per la storia patria l’antico nome- il sindaco Salvetti ha precisato il suo valore turistico- ma per tutti i livornesi si chiama adesso piazza Italo Piccini. Con tanto di scopertuta della lapide, debitamente incoronata di lauro, discorsi ufficiali dei vip del porto sotto il sole cocente di una mattinata arroventata come poche, e malgrado il caldo una piccola folla sinceramente commossa. Persino il cavaliere del lavoro Piero Neri, contro il quale i portuali ai tempi di Italo sfilavano- con i non dimenticati feroci striscioni sulla triade D’Alesio Fremura Neri- ha saputo trovare parole di stima sul vecchio avversario, riconoscendogli il valore dell’intelligenza, del carisma e anche della capacità di cercare e spesso anche trovare la collaborazione prima ancora degli scontri.

Quando si scopre una lapide con il nome di un personaggio che molti dei presenti hanno vissuto, il valore dell’atto si vede da chi, al di fuori delle autorità “comandate”, s’è preso la briga di esserci, solleone o no. In questo caso, c’erano decine di ex: anche gente anonima, anziani accompagnati da giovanotti di sostegno o da nipotine molte delle quali potabili- una ventata di gioventù che ha fatto bene allo spirito- qualche faccia nota degli anni novanta; insomma gente verace, non certo spinta lì per farsi vedere in TV Granducato.

Hanno parlato nell’ordine il sindaco Luca Salvetti, il presidente dei portuali Enzo Raugei, il già citato Piero Neri su sollecitazione del sindaco, e naturalmente Roberto Piccini, figlio di Italo nonché suo successore al timone della Compagnia portuali.

In tutti gli interventi ha prevalso, come sempre quando si recita il “coccodrillo” di un personaggio che fu, il ricordo del portuale senza macchia e senza paura, uomo del popolo che ha saputo diventare non solo condottiero di una folla di muscolosi lavoratori ma anche loro imprenditore, trasformandoli in un insieme coeso e sempre più evoluto nell’azione e nel pensiero. Strano ma vero: perché Italo Piccini era davvero così, con la voglia di far crescere quella che un tempo era solo la maltrattata carovana dei “gobbi”- come aveva scritto nelle sue saporite memorie uno dei primi portuali ante compagnia- dando non solo dignità ma anche orgoglio a un mestiere che seppe far diventare il porto labronico il primo scalo del Mediterraneo nel traffico dei contenitori. Con Italo diventò celebre la famosa battuta che la diceva lunga sul conquistato orgoglio del mestiere, ossia “A Livorno anche il peggio portuale sa sonare il violino o’piedi”.

Roberto Piccini, che del grande padre raccolse la pesante eredità in Compagnia, ha voluto soffermarsi sull’umanità di Italo: l’uomo attento alla famiglia, poco propenso alle smancerie ma capace di regalargli una copia della “Divina Commedia” con l’esortazione a leggere, leggere sempre, leggere tanto. Roberto non l’ha detto per pudore filiale, ma possiamo aggiungerlo noi che a Italo abbiamo spesso minato la strada da giornale anticomunista: era un uomo, innamorato fino all’ultimo della sua Mara: ma capace di inattese- e pur sempre rispettose- galanterie (quando era in consiglio comunale verso avversarie politiche di bella presenza): un uomo non infallibile - sottovalutò sempre la crescita del concorrente porto de La Spezia - ma capace anche di imparare dai propri errori. Oggi non gli piacerebbe più questo porto, come ha detto giustamente Enzo Raugei. Ma di sicuro non aspetterebbe soluzioni con le mani in mano.

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