L’incredibile vita di Carlo Romani, da rapinatore incallito a rilegatore di libri: “Voltare pagina si può” / Video

In carcere per 24 anni, adesso vive all’isola d’Elba, dove gli vengono affidati alcuni volumi e ha una famiglia. E ora ci racconta tutto

Carlo Romani

Carlo Romani

Portoferraio (Isola d’Elba, Livorno), 21 luglio 2023 – Da rapinatore di banche a rilegatore di libri. Con 24 anni di carcere nel mezzo. Condannato per varie rapine a mano armata, un quarto di secolo dietro le sbarre farciti di risse aggravate e ferimenti vari.

È la storia di Carlo Romani, genovese, classe 1950. Oggi, a 73 anni, può dire di essere riuscito a voltare pagina. Uscito dal penitenziario di Porto Azzurro, ha conosciuto in spiaggia una turista tedesca, si sono sposati e hanno una figlia diciannovenne. Ha creato una famiglia che gli vuole bene.

Poi ci sono i libri che aggiusta e restituisce alla vita. Vecchi volumi ammaccati dal tempo e dalle vicissitudini, un po’ come lui. Gli vengono affidati testi della Biblioteca Foresiana di Portoferraio e anche libri antichi di privati cittadini che, con pazienza e una grossa cucitrice, lui rilega in un locale del centro storico concesso dall’amministrazione del capoluogo elbano.

Nessuno si aspetterebbe che dietro quell’esile e saltellante figura, potesse celarsi un rapinatore incallito condannato a 24 anni di carcere.

La video intervista

Nato a Nervi, Carlo è stato arrestato il 7 giugno 1979 dai carabinieri con i suoi complici, Luciano Lenzi e Mario Fossati. Per circa 10 mesi il trio aveva imperversato in Liguria, mettendo a ferro e fuoco tutte le province a sud e a nord di Genova con una serie di rapine a mano armata e volto coperto a banche, uffici postali e gioiellerie. Al momento dell’arresto nel covo della banda venne scoperto un vero e proprio arsenale fatto di mitra, fucili a canne mozze e decine di pistole.

Carlo è stato in carcere con Lorenzo Bozano, il ‘biondino della spider rossa’ che fu condannato all’ergastolo per il sequestro e l’omicidio della tredicenne Milena Sutter, figlia dell’industriale della cera. Il rapimento avvenne il 6 maggio del 1971, a Genova. Bozano è morto a 76 anni proprio all’Elba il 30 giugno 2021 per un malore, dopo aver fatto il bagno a Bagnaia.

Ma Romani in carcere ha conosciuto anche il terrorista nero Mario Tuti, fondatore del Fronte Nazionale Rivoluzionario, condannato a due ergastoli per tre omicidi. E poi ad altri 14 anni per la rivolta al carcere di Porto Azzurro nel 1987.

Dopo aver preso un po’ di confidenza, Carlo Romani ha deciso di raccontare la sua storia al nostro microfono.

Carlo, ci parli della sua infanzia.

"Sono nato a Nervi, quando ero piccolo mia madre e stata ricoverata ed io sono stato affidato al Gaslini di Genova, poi ho trascorso infanzia e adolescenza in vari collegi”.

Come e quando ha iniziato a delinquere?

"A sedici anni, vivevo per strada e commettevo furtarelli per sopravvivere”.

La prima vera rapina?

"Non me lo ricordo, ma di sicuro sono stati significativi i 10 mesi di rapine tra il 1978 e il 1979 terminati con l’arresto”.

Che cosa provava durante le rapine?

La paura prima di entrare in azione c’era sempre, poi passava tutto, eravamo in preda ad un potere momentaneo, senza freni e senza pensieri. L’adrenalina era tale che quando cambiavamo l’auto e mi toglievo i guanti da chirurgo erano letteralmente sciolti e appiccicati al palmo della mano, come corrosi dall’acido”.

Era cattivo?

"No, non lo sono mai stato, credo. Preparavamo i colpi con attenzione, avevamo dei tabù. Chi stava dall’altra parte del bancone non veniva toccato”.

Cosa ha fatto dei soldi?

"Non ci crederà, ma ne avevamo talmente tanti che poi ho imparato a schifarli”.

Lei conosceva Lorenzo Bozano, il biondino della Spider rossa?

"Si, l’ho conosciuto nel carcere di Porto Azzurro, dopo che ha preso l’ergastolo in appello. Eravamo insieme anche nella Casa di Accoglienza di Portoferraio dove lui aveva il compito di cercare spazi di manovra per i familiari dei detenuti che andavano in permesso. Poi è morto”.

Carlo, lei era nel penitenziario di Porto Azzurro al momento dell’ammutinamento di Mario Tuti del 1987?

"No, ero stato trasferito. Meglio cosi. Non ho mai voluto avere niente a che fare con quell’essere spregevole”.

Com’era la vita in carcere?

"Triste, monotona. Piena di liti e risse. Ma noi avevamo la possibilità di lavorare, adesso fanno turni di lavoro ridotti a una settimana al mese. C’è molta miseria in carcere. Ho girato vari penitenziari: San Vittore, Porto Azzurro, San Gimignano. E il migliore è stato per me quello che tutti detestavano. Il carcere di Volterra, dove c’era rispetto tra guardie e detenuti. I carcerati erano tutti mafiosi siciliani, calabresi, napoletani, pugliesi e poi c’ero io con un altro che eravamo i due cani sciolti”.

Come si fa a uscire dal tunnel?

"È una profonda riflessione che fai nel tempo, non avviene dall’oggi al domani. Quando stai molto tempo in carcere matura piano piano. Capisci che non puoi più permetterti di avere la testa di prima, non perché rischi di essere arrestato ma perché quel modo di essere e quel pensiero non sono più tuoi. Li stai abbandonando per entrare in un’altra dimensione”.

di Valerie Pizzera