Livorno, un "porto" per rispondere alle logiche di conflitto nelle città

A 'Medì' disegnata un'alternativa per non cancellare la vita pacifica dai nostri orizzonti

Barbara Bonciani, Medì 2024

Barbara Bonciani, Medì 2024

Livorno, 18 marzo 2024 - La bambina si nasconde, sta sotto la balaustra della terrazza Mascagni, osservando quelle onde che le stanno davanti, che sembrano vicinissime. E' il mare di 'Medì', il convegno internazionale delle città del Mediterraneo convocato a Livorno dalla Comunità di Sant'Egidio. E' raffigurato così nell'immagine del programma del convegno dell'8 e il 9 marzo scorsi al Teatro Goldoni, con una platea sempre piena di cittadini, scuole, associazioni, persone che non si rassegnano alla diffusa visione bellicista del presente. Sono state due giornate intense di confronto che hanno fatto sentire come possibile un altro respiro per la vita comune, minacciata dalle guerre e dai conflitti, all'origine, tra l'altro, delle migrazioni. Ritornando all'immagine di Medì, si può pensare che con altri occhi e con un altro timore un altro bambino, un'altra bambina, dall'altra parte, su una barca in mare, attendono l'approdo e la salvezza. Quante cose può essere un porto. Se i dati delle Fiamme Gialle dicono che quello di Livorno è una delle mete privilegiate dalla criminalità organizzata, nazionale e internazionale, dedita al traffico di sostanze stupefacenti, d'altro canto mostrano un'attenta vigilanza che consente di contrastarla. "Alla volontà dei narcotrafficanti di rendere l’area portuale di Livorno un punto di facile approdo - si legge in un nota della Guardia di Finanza - fanno da scudo i controlli antidroga per individuare - tra le innumerevoli spedizioni dal Sud America - quelle utilizzate per celare abilmente le partite di sostanze stupefacenti". Su un altro piano, ed è una buona notizia, risulta che al 2023 il 60 per cento delle merci movimentate in Italia transita fra il porto di Livorno e quello di Genova con una crescita. Ora c'è timore per i venti di guerra che soffiano in Medio Oriente e la crisi nel Mar Rosso, con le conseguenze che potrebbero avere.

Ma il mondo non è solo mercato e un porto, la sua città, devono fare parte di una visione più grande, per pacificare il mare agitato dalla Storia. Monsignor Paolo Razzauti, intervenuto a Medì per la diocesi di Livorno, ha sottolineato come il Mediterraneo vada visto "come luogo di pace e non di morte. Dal nostro porto partivano carichi di livornesi che cercavano lavoro in America, con la valigia di cartone e tanta speranza come quelli che arrivano da noi ora. Forse ce ne siamo dimenticati. Non si può fare passare queste persone da un lager a un altro. La Chiesa ha saputo guardare alle esigenze della nostra città: penso a don Angeli o a Erminia Cremoni che ha costruito gli asili subito dopo la guerra. Oggi occorre lanciare scialuppe di salvezza verso coloro che hanno bisogno". Medì è una strada che mostra un orientamento alternativo alla "logica" dello scontro, di quel modo di riabilitare il conflitto che crea soltanto nuove macerie.

“Oggi il grande problema è che il tema della pace è cancellato dal nostro orizzonte - ha spiegato Andrea Riccardi, storico e fondatore di Sant'Egidio - Ci troviamo in un momento in cui lo strumento della guerra e della violenza è stato riabilitato e ormai le guerre una volta aperte sembra non trovino fine, si eternizzano: questo è un dramma". Si è persa la simpatia per la complessità, per il gusto di vivere insieme e questo prepara il conflitto. Ma c'è un'alternativa: "Nella costruzione di percorsi costruttivi e pacifici incidono spazi di confronto e di incontro, amichevoli, liberi come quelli creati da dieci anni da Medì". Nel Mediterraneo, in questo mare agitato dalla Storia, "esistono legami profondi che uniscono questo mondo complesso e troppo conflittuale". La storia chiede di accettare l'altro. "Qui - ha rimarcato Razzauti - non ci sono steccati". L'accoglienza è nel dna della storia di Livorno che "sa mostrare mostrare la sua capacità di adattamento e solidarietà, in difesa della dignità umana di tutti i cittadini - ha fetto Luca Salvetti, nel suo saluto al Teatro Goldoni - Medì accende i riflettori sul nostro compito civico. Grazie a chi lo ha organizzato con passione ed entusiasmo".

Eugenio Giani, Presidente della Regione Toscana, ha rilevato come "Medì, a dieci anni dal suo inizio con la Comunità di Sant'Egidio, onora la Toscana con tante suggestioni nuove nella Livorno senza ghetto e senza mura. Ho ritrovato qui lo spirito della città sul monte che parla al mondo con lo spirito del Mediterraneo, evocata da La Pira. La centralità delle città del Mediterraneo è fondamentale per un'azione di pace. Faccio i complimenti alla Comunità di Sant'Egidio per la lungimiranza con cui intreccia questa preziosa rete di relazioni". In questo contesto e in questa prospettiva si colloca la “resistenza” delle donne a derive disumane.

Dalle guerre, ai respingimenti dei profughi, alla corruzione che corrode e umilia la città, a Medì sono "approdate" testimonianze coraggiose e piene di passione, in difesa della vita. Negli angoli più nascosti, l'impegno e il lavoro di donne comuni ed eccezionali insieme, da Barbara Bonciani (Livorno), a Delia Buonuomo (Ventimiglia), Philippa Kempson (Lesbo), Corinne Vella (Malta), Nadia Marzouki e Chiraz Gafsia (Tunisia), Tatjana Gromaca (Pola). Bonciani, assessora al Porto e all'integrazione tra città e porto del Comune di Livorno, ha portato a Medì l'esempio e l'audacia delle donne marittime "in un mondo declinato quasi esclusivamente al maschile: molti stereotipi, pregiudizi e superstizioni hanno limitato la loro presenza a bordo”. Le foto di Elena Cappanera le ha ritratte nella bella mostra 'Il porto delle donne', rimasta aperta al pubblico, al Goldoni, per i due giorni dell'evento.

A Medì si impara a scrivere e riscrivere la città, apprendendone storie come quella “scritta” da Chiraz Gafsia, architetta urbanista che ha lavorato alla rigenerazione dei quartieri più noti e di quelli meno frequentati nella capitale tunisina: “Nelle periferie – ha detto – ho visto rinascere la volontà di riappropriarsi degli spazi per vivere meglio. Ho incontrato donne che avevano trasformato uno spazio urbano pieno di rifiuti in un luogo abitabile, con i pochi mezzi che avevano a disposizione . Per questo con loro ho fondato l'associazione Daame, offrendo il mio lavoro per il miglioramento dello spazio pubblico e delle condizioni di lavoro delle donne”.