Morì in comunità: operatori condannati

Fatale per il ragazzo, 18 anni, di Suvereto la massiccia dose di metadone. Un anno per omicidio colposo

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Una somministrazione unica di un quantitativo di metadone pari non già alla dose giornaliera ma al quantitativo da assumere per quattro giorni. Sarebbe stata questa la causa della morte, per intossicazione, avvenuta il 5 febbraio del 2016 alla Comunità Incontro di San Felice, di Lorenzo Giorgerini, il 18enne di Suvereto, che in quel periodo era ospite della struttura del pistoiese. Ieri pomeriggio, nell’aula collegiale del tribunale di Pistoia, il giudice Paolo Fontana ha letto la sentenza di condanna per i due operatori di base che somministrarono la dose fatale. Un anno per omicidio colposo (pena sospesa) per Alice Peruzzi, 39 anni, così come per Filippo Giorgi, 34 anni, entrambi pistoiesi, difesi rispettivamente dagli avvocati Marco Rocchi di Firenze e Luca Magni di Pistoia. Il pubblico ministero Claudio Curreli, che aveva diretto le indagini dei carabinieri subito dopo la morte del ragazzo, aveva chiesto un anno e sei mesi di reclusione. La famiglia del ragazzo, intanto, è stata già risarcita dalla Comunità.

Fu la perizia disposta dalla procura di Pistoia ad evidenziare quella concentrazione elevata di metadone, assunta dal ragazzo. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, il ragazzo era arrivato in Comunità la mattina del 4 febbraio 2016, accompagnato dalla madre, dopo aver trascorso alcuni giorni a casa, e aveva con sé la boccetta contenente il metadone prescritto dal suo medico curante, da somministrare nei quattro giorni successivi (fino all’8 febbraio), insieme alla prescrizione medica che indicava la dose giornaliera da somministrare (50 milligrammi). Secondo quanto ha ricostruito la Procura, invece, il ragazzo sarebbe stato preso in carico dalla operatrice Alice Peruzzi, che aveva messo in cassaforte la boccetta di metadone. Successivamente, era entrato in turno l’altro operatore Filippo Giorgi, che avrebbe consegnato al ragazzo per l’auto somministrazione l’intero flacone, pari a 200 milligrammi. Così, il flacone era stato somministrato tutto alle 8 di mattina: alle 15 il ragazzo fu trovato morto nel suo letto. Diversa la ricostruzione della difesa, che ha esaminato i passaggi di quel tragico giorno. Un aspetto su tutti: agli operatori non competeva il controllo delle dosi da somministrare, verifica che necessariamente sarebbe stata di competenza di un sanitario. Inoltre, sempre stando alla ricostruzione della difesa, il flacone preparato dal medico esterno e portato dal ragazzo in comunità si presentava anche visivamente come soluzione concentrata, dunque avrebbe dovuto essere accompagnato da un indicazione chiara. I legali aspetteranno le motivazioni del giudice per ricorrere in appello.

Martina Vacca

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