La sorte peggiore che ci potesse toccare

Il campo dell'Armando Picchi di Livorno (Foto Novi)

Il campo dell'Armando Picchi di Livorno (Foto Novi)

Livorno, 24 marzo 2021 - In una situazione come questa è impossibile non cedere alla rabbia. Vedere il Livorno Calcio cadere così in disgrazia ci consegna a una sensazione di tristezza infinita. Siamo con le mani in alto, dietro alla nuca, faccia al muro, senza poter far nulla per sottrarci all'esecuzione. Si è detto e scritto di tutto, da un paio di anni a questa parte. Piu' dolori che gioie, piu' lacrime che sorrisi. Ma avevamo sempre sperato che a un certo punto la ruota tornasse a girare per il verso giusto e ci riportasse almeno a distanza di sicurezza dalle porte dell'inferno calcistico. Invece no. In questi ultimi mesi abbiamo vissuto l'agonia di un suicidio assistito. Il calcio è come la vita: se sai affrontarlo ti salvi, altrimenti sei fuori dal gioco. Devi spendere, per vivere. Devi investire, devi far girare i soldi, devi essere parte attiva del mercato, devi rischiare di brutto, se occorre. Solo così, sgomitando ma costruendo, anche con qualche scivolone, puoi restare nel calcio che conta. Altrimenti sei fuori. Sei fuori perché non servi a un paradiso in cui non si può stare a dispetto dei santi.

Disse una volta De Laurentiis, il presidente del Napoli: "Spinelli, se vuoi stare nel calcio che conta non puoi fare la questua tutti gli anni". Non fu un signore, certo, ma disse una verità. Tutti noi abbiamo sempre sognato di vedere il Livorno in Champions League, ma non lo abbiamo mai chiesto, non lo abbiamo mai preteso. Ci sarebbe bastato stare almeno su un'altalena dignitosa fra la Serie B e la Serie A. Guardate l'Empoli, per esempio: dopo un po' di purgatorio torna sempre a riveder le stelle. Noi invece ci siamo visti strappare dalle mani tutto per colpa di gestioni sciagurate e allucinanti. Qualcuno aveva promesso che ci avrebbe lasciati in mani sicure, invece ci ritroviamo in una selva di pugni, ceffoni e debiti. Con giocatori che sono scappati perché non venivano pagati, con dipendenti lavoratori che non hanno ricevuto lo stipendio, con tabellini impietosi fatti di ragazzi presi in fretta e furia dalla Primavera e sbattuti anzitempo in campo chiedendo loro di dimostrare subito di essere Garrincha. Ma via! 

Abbiamo otto punti di penalizzazione per colpa non dei giocatori rimasti, non per colpa degli allenatori, non per colpa dei tifosi. Siamo ultimi in Serie C. Facciamo esultare squadre e gente di paesi sperduti nelle province delle province dove il grigio è piu' grigio del grigio, dove gli stadi hanno tribune così basse (se le hanno) che si vedono i semafori e si sentono i clacson delle macchine fuori. Dove il club di ultras piu' nutrito conta 20 persone e uno striscioncino in croce. Dove quando arriva il Livorno dicono "Oh, speriamo che non ce ne faccia quattro...". Invece abbiamo fatto beneficenza e non ci siamo fatti rispettare, perché se sei qualcuno nel calcio non ti danno i rigori contro negli ultimi minuti della partita, o le punizioni contro, o i fuorigioco contro. Se hai un po' di peso (un po', dico) magari gli arbitri non ti aiuteranno spudoratamente, ma nemmeno ti daranno un rigore contro dopo averci ripensato. E per di piu' in casa. 

No via, è impossibile non cedere alla rabbia per tutto questo. E' impossibile non mangiarsi il fegato nel vedere che a 20 chilometri da qui è arrivato un russo-inglese che spenderà per la squadra e per lo stadio, o nel vedere che a Spezia è arrivato un americano che vuole investire nel calcio e non solo. A Livorno chi abbiamo? Cosa abbiamo? Su quale prospettiva ci affacciamo? Sull'incognita totale, perché in questo momento non sappiamo neanche che tipo di Serie D faremo. La matematica ancora non ci condanna, ma la logica sì. Chi visse sperando fece una fine indecorosa. Che poi è quella che stiamo facendo noi, a meno di un'impresa calcistica da mille e una notte. Ma per il momento la notte è una sola, ed è la piu' buia. Sappiamo di chi è la colpa e sappiamo anche che purtroppo noi non possiamo farci nulla. Ecco, il nulla: la sorte piu' impietosa che ci potesse toccare.

Alessandro Antico