Sanremo 2020, io voglio anche la "quota gatto"

Diletta Leotta e  Rula Jebreal a Sanremo 2020 (Ansa)

Diletta Leotta e Rula Jebreal a Sanremo 2020 (Ansa)

In fondo non è così difficile da capire: si chiama uguaglianza, parità. Ed è un messaggio che passa dai fatti, da un pensiero forte e coerente che pervade per intero uno spettacolo, un libro, una civiltà. "La parità non è estendere a voi sorelle i diritti e i privilegi dei preti che troppo si sono avvicinati alla società civile – dice Pio XIII appena uscito dal coma in The New Pope di Sorrentino – ma piuttosto estendere ai preti i vostri dolori, la vostra grazia, generosità, intelligenza, il vostro amore".

Giusto indignarsi se il Festival di Amadeus fa l’elogio del passindietrismo e del vallettismo della donna (purché sia bellissima), un po’ meno giusto – forse – pensare che una Diletta che si fa vedere vecchia e tesse l’elogio della nonna, un monologo pur commosso e una canzone «sul tema femminile» bastino a lavare la coscienza di un Paese intero che non solo ammazza le sue donne (nel 2018: 142, nei primi 10 mesi del 2019: 94), ma vive di modelli di potere e subordinazione basati sul genere, la classe e l’origine: è così che la violenza assume molteplici configurazioni, è per questo che il femminicidio è soltanto la punta dell’iceberg di un fenomeno di violenza, disparità e discriminazione operate dai maschi sulle donne, e su altre “minoranze”, molto più profondo e radicato.

Non è un problema che si risolve certo con “la quota rosa” a Sanremo: se declinata così, perché non rivendicare allora anche una bella “quota gatto”? Ci vorrebbe una “quota femminista” che impedisca di chiamare in gara Junior Cally, ma soprattutto una “quota quinta elementare” che – una volta portato comunque in gara Junior Cally – imponga di chiamarlo iunior calli e non giunior chelli, o ancor peggio – se possibile – giunior calli e una ”quota ma ripigliati” ai vertici Rai che definiscono il valore di Sanremo «heritage». Opterei, ovvio, per una “quota pro-tuta nuda di Achille Lauro”, e “pro lacrime gay di Ferro”, per sempre. Ma questo è un altro discorso ancora.