Nicola Zingaretti, chi è il candidato alle primarie Pd (che piace a D'Alema)

Il governatore del Lazio piace a D'Alema e Veltroni. Solida scuola Pci, viene apprezzato anche a destra

Nicola Zingaretti (ImagoE)

Nicola Zingaretti (ImagoE)

Roma, 27 febbraio 2019 - I maligni gli attribuiscono la nomea di “sor tentenna”. Ma sono maligni, appunto. Nicola Zingaretti, romano come pochi, ha casomai non diciamo un difetto, ma una caratteristica: è terribilmente attaccato alle sue terre. Un altro maligno, che cominciò a far politica con lui nei primi anni Ottanta sui temi della pace (davvero: c’erano ancora sovietici e yankee che se le davano di santa ragione), scandisce: "Nicola è bravo. Sa come se sta tra la ggente. Ma se oltrepassa i Castelli (romani, ndr) se pija d’ansia".

Ovvio, tutta invidia per un uomo che ha fatto della politica la sua ragione di vita. A una condizione. Che la stessa politica passi da un’amministrazione seria e rigorosa. Che nemmeno un centimetro di strada, di piazza, di viale, di vicoletto sia trascurato. E poi, quella storia della paura di uscire dal recinto delle mura di casa è palesemente falsa, replicano i suoi sostenitori. Quando si impegnava sui missili, non tralasciava le questioni legate alle lotte antimafia.

Da giovane comunista e in seguito da leader della Sinistra giovanile organizzò campi della legalità quando ancora non andavano di moda. Alcuni rammentano il divertimento unito all’impegno di quei giorni dei primi Novanta a San Vito Lo Capo, nel trapanese. Oppure le iniziative dopo le morti di due eroi, di due italiani che hanno pagato con la vita la loro voglia di combattere il crimine: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, di cui Nicola tiene sempre una foto sulla scrivania (o almeno teneva).

A CHI PIACE - Ma chi ha creduto in lui? In tanti. Piace a Massimo D’Alema e non da ora. Il lìder lo ha sempre apprezzato per il buon umore e per la capacità di decodificare le richieste, anche implicite, dei cittadini. E poi Walter Veltroni: del resto, a Roma, chi non si è fatto affascinare dalle capacità affabulatorie e narrative, diciamo per semplificare sia chiaro, dell’ex sindaco di Roma? Ma il vero mentore di Nicola si chiama Bettini, Goffredo Bettini.

Solida scuola Pci, berlingueriana, attentissima al dialogo coi cattolici (del resto a Roma che vuoi fare?), mai o quasi mai una parola di troppo, con il tentativo costante e perseguito con tenacia di andare verso il popolo senza cedere al populismo. E quindi, sembra un dettaglio ma non lo è, Bettini - e a seguire Nicola - furono i primi a dire che se un compagno nella sala dell’allora federazione del Pci di via dei Frentani leggeva giornali sportivi non c’era niente di male.

APPREZZATO ANCHE A DESTRA - Del resto, con Nicola, attentamente guidato da Goffredo, problemi caratteriali non ne sorgono mai. Si fa benvolere da tutti, tanto da passare indenne in quasi 40 anni di politica amato o, comunque, apprezzato dai più, anche dalla destra. Le tacche a suo favore non sono poche: segretario Sinistra giovanile, eurodeputato, presidente della Provincia di Roma, governatore del Lazio e tanto altro ancora. Addirittura è riuscito a convincere a non fargli la guerra (solo guerriglia a bassa intensità) i terribili Cinquestelle del Lazio. Arma polemica in chi lo contrasta per questa corsa.

IL PROGETTO - Già, ma che corsa? Con quali progetti? Per ora saperlo non è molto agevole, a parte i discorsi sui “percorsi comuni” o sulla necessità di fare comunità nel Pd. Il suo cuore batte a sinistra molto più di quanto non dica. Ma anch’egli, come il suo maestro Bettini, è convinto che la sinistra da sola, in Italia, mai ce la farà. Ecco perché continua a parlare con D’Alema e Bersani e Speranza, ma senza esagerare. Del resto, il “grande salto” per lui arriva a un’età ancora fresca, ma non freschissima. Se ce la farà, come pare, a convincere in queste improbabili primarie quel che resta di quello che doveva essere il partito a vocazione maggioritaria il suo impegno dovrà essere fermo. Non un passo indietro. Non un tentennamento.