SANDRO ROGARI
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Lontani dalla gente

La troppo lunga gestazione della nuova leadership del Pd, dopo la sconfitta del 4 marzo, sta partorendo il topolino. Lo dico senza alcun giudizio di valore sulle persone in gara. Il topolino è politico. Certo se domenica dovesse partecipare alle primarie aperte un cospicuo numero di persone dovrei riconoscere che mi sbaglio. E lo farei subito. Ma, mi chiedo, perché mai dovrebbe essere una votazione molto partecipata? Per i candidati? Se accantoniamo Giachetti, l’eterno sconfitto, che parte perdente per il flebile impegno di Renzi e dei suoi, gli altri due, Zingaretti e Martina in cosa e per cosa si distinguono? Il posizionamento politico? Impossibile fare una distinzione netta. Sui grandi temi, i rapporti con 5 Stelle e con Leu, restano in una nebulosa indefinita. A domanda, ambedue sono pronti a dichiarare: io mai e poi mai. Ma non si vede come la grande alleanza di modello ulivista, da ambedue riproposta con lievi differenziate sfumature, possa sfuggire alla logica della convergenza. Si vedrà magari se M5S intende coltivare la vocazione di destra o di sinistra. Perché sarà costretto a scegliere, pena la dissoluzione. Ma questa è un’altra storia.

Sarà, allora, una votazione partecipata per l’entusiasmo suscitato dai programmi? Ma dove sono? Al di là del mantra più investimenti e più lavoro, che è quanto chiunque di noi sente dire al più vicino bar dello sport fra il commento a un goal e un rigore, non si va. E questo vale per tutti i candidati. Al punto, che il candidato più forte, Zingaretti, ha dichiarato ieri, nell’intervista al nostro Ettore Maria Colombo, che se sarà eletto convocherà gli Stati generali del partito sui temi del lavoro, dell’ambiente e della scuola. Come dire che per ora si naviga a vista. Poi certo, a far pronostici facili, Zingaretti è favorito. Perché Martina è stato coinvolto nella precedente gestione come vice di Renzi. Perché ha dimostrato di essere un reggente debole, incapace di imporre ritmi calzanti alla fuoriuscita dalla crisi. In una parola, perché ha dimostrato di non essere un leader. Zingaretti gioca le sue carte sul suo non essere compromesso con la passata gestione. Basta per divenire segretario, forse. Ma non basta per rimettere in piedi il partito. sandrorogari@alice.it